Ecco, come ha detto qualcuno più famoso, il dado è tratto. Da giorni sono online sullo store più temuto del mondo con Niente è come sembra, ma ora non voglio fare pubblicità al libro in sé, per quello ci sono posti e momenti adatti, quanto parlare di come mi sono trovata a lavorare in proprio.

Temevo molto questo momento, in verità. Ho una formazione old style, per età e studi, per cui per me la pubblicazione con casa editrice rappresentava (e in parte rappresenta ancora) un punto di merito. Parlo di case editrici non a pagamento, ovvio. Piccole, indipendenti o medie che siano, o grosse società di edizione, questo lo penso ancora, è importante la valutazione di un occhio esterno, il riconoscimento di un addetto ai lavori, cosa che con lauto-pubblicazione non è possibile avere.

Questo lo dimostra ampiamente ciò che si legge negli estratti che scorrono sui social o nei libri messi a disposizione sugli store. Non basta dire che è il giudizio del pubblico quello che conta. Purtroppo, da anni, sappiamo bene che tutto può essere guidato e acquistato: like sui post, recensioni su Amazon, visualizzazioni su YouTube. Non cè niente che il web marketing non possa vendere. Perfino i lettori, finti o veri che siano, che sappiano o meno aggirare gli assurdi e misteriosi algoritmi di Amazon, che siano una rocciosa base fan di alcuni autori. Tutto.

Quindi, temevo e temo tuttora questa giungla senza regole o con regole diverse che cambiano alla velocità della luce, dove sei sola senza la spalla di un editore che spesso ti fa discutere e arrabbiare, ma che ti protegge anche, in caso di problemi, e ti fa da scudo perché difendete insieme il lavoro di entrambi.

Questo, per quanto mi riguarda, è stato laspetto più difficile da affrontare e superare perché quello pratico non mi spaventava. La fatica, la precisione, lincastro dei vari passaggi che occorrono per pubblicare un libro non mi creano problemi: sono abituata da anni a lavorare in proprio, so bene che bisogna rimboccarsi le maniche e non aspettare che il risultato piova dal cielo. Così come so riconoscere i miei limiti e affidarmi a chi ha più esperienza senza credere di essere tuttologa.

Quindi, in questa mia prima avventura, ho stanziato un piccolo budget, meno dell’ultimo iPhone X, da investire per quello che non sapevo fare e ho cercato dei professionisti che mi aiutassero a confezionare la mia storia. Un buon servizio grafico per la copertina, Boom s.r.l., un ottimo servizio editoriale che ha curato lediting del testo e limpaginazione: The Sign of the Two.

Il lavoro è durato qualche mese, con lestate nel mezzo e la strada per niente liscia. Lultimo intoppo, per dire, due settimane senza linea ADSL quando ero allultima consegna, ma alla fine ne siamo venuti a capo. Credo che circa dieci rifacimenti copertina e otto passaggi di editing e riletture possano rendere lidea delle ore spese per il prodotto finale, ma senza l’aiuto di questo team non avrei mai tentato e portato a termine questa edizione.

Da adesso in poi, quello che accadrà non dipenderà più da me, come succede ogni volta che si pubblica un libro. Lho già sperimentato due volte. La differenza per questa terza è il tipo e la quantità di pubblico a cui arriverà il romanzo: più ampia e non solo cartacea, come ero abituata.

Naturalmente spero che la storia che racconto metta in atto la sua speciale magia, come solo i libri sanno fare, e spicchi il volo.

Buona lettura.


Prima i generi non esistevano e maestri come Shakespeare e Dickens mescolavano tutti gli elementi per catturare il lettore. Poi, chissà perché, sono nate le etichette: crime stories, giallo, fantasy, realismo. E persino le sottobranche: iperrealismo, realismo sociale... Ma un vero scrittore usa tutto. Perché tutte le storie, anche le più reali, sono piene di fumo e di specchi, e c’è sempre qualcuno dentro che sta su quel palcoscenico che è la mente del lettore.
Carlos Ruiz Zafón

Condivido in pieno questo pensiero di Zafón, perché sono convinta che non ci debba essere nessun paletto per chi scrive storie. Come lettrice sono molto aperta e curiosa, anzi, amo essere stupita. Mi piacciono molto le mescolanze e, anche se a volte non riescono al meglio, premio comunque il coraggio e l’azzardo di averci provato. Leggo una storia per quella che è, senza arrabbiarmi se esce dai canoni del genere di appartenenza.

Come autrice, vivo queste classificazioni più come un problema, perché se voglio proporre un’opera al mondo esterno, arrivare a dei lettori, passare attraverso una pubblicazione, la prima cosa che devo specificare è la sua collocazione. Questo sia nella scheda di presentazione per un editor o una casa editrice, sia per le categorie degli store online, nel caso di un’autopubblicazione.

C’è questo commerciale bisogno d’incasellare tutto in una categoria, di appiccicare un’etichetta, di creare un recinto nel quale rinchiudere la fantasia.


E c’è pure la richiesta dei lettori di generi specifici, spesso rigidi come i paletti in cui devi incastrare il racconto; lettori che non amano sorprendersi, anzi, godono della sicurezza di ritrovare cliché conosciuti e confortanti, che hanno da ridire se proponi qualcosa fuori da questi schemi.

Ma chi ammirerebbe i quadri di un pittore che usa sempre i soliti tre colori per dipingere lo stesso soggetto ripetendolo allinfinito? Già aggiungendo un colore nuovo si può ottenere un risultato completamente diverso.

Ho provato a spiegare molte volte che, per chi scrive, è sempre faticoso definire in quale genere si posiziona la propria opera. Primo perché quando arrivano gli spunti, che si trasformano soltanto dopo in una forma narrativa strutturata, non viene molto da pensare in quale categoria potrebbero porsi. Certo, in linea di massima, una storia che parla di astronavi è fantascienza e una che parla di omicidi un thriller o un giallo, ma poi ci si impantana in diversi sottogeneri a seconda di come l’omicidio viene raccontato

Secondo perché, per quanto mi riguarda, il racconto non è mai troppo semplice o lineare mentre si sviluppa e prende la sua forma definitiva: iniziano a incastrarsi eventi e fattori a cui i confini di una categoria rimangono troppo stretti. A quel punto non è possibile alterare quello che hai pensato / scritto, poiché potrebbe essere proprio il fattore che distingue una storia da tutte le altre simili.

Quindi Shakespeare e Dickens, ai loro tempi, non avranno avuto problemi, ma sono certa, pur non conoscendo il mercato editoriale spagnolo, che anche Zafón abbia classificato a fatica i suoi libri. Che sono mainstream (ovvero narrativa generale) ma anche un po’ mistery e forse un po’ gialli...
Vedete! Non è per niente facile.

Capite, quindi, quanto ancora più difficile sia per un autore, che conosce ogni piccolo dettaglio della sua storia, dare una classificazione quando gli chiedete a che genere appartiene ciò che scrive.


Chi mi conosce o ha imparato a farlo leggendo il blog, avrà capito ormai che sono un’autrice che sforna romanzi con la cadenza di un bradipo, ma detengo un ritmo migliore del ciclo di vita medio di una cicala, di cui ricordo una particolare specie che emerge dal terreno, in estate, ogni diciassette anni.

Ebbene, sono passati quasi tre anni dalla mia ultima pubblicazione e, in questo tempo, oltre a fare un po’ di promozione con presentazioni dal vivo e occuparmi dei social, ho iniziato a scrivere, in contemporanea, due nuovi romanzi di genere diverso. Alla lunga distanza, e anche per la dimostrazione d’interesse ricevuto, sto portando avanti il distopico, di cui ho dato qualche assaggio sul mio profilo Instagram e sulla pagina Facebook: un progetto lungo e un pochino complesso, che spero possa vedere la luce nel modo che merita.

Nel frattempo, però, stimolata dalla vivacità che, nel bene e nel male, si avverte su questi nuovi mezzi di comunicazione e spronata dalle esperienze positive di molte colleghe autrici, ho deciso di mettermi alla prova come autore indipendente. Una sfida su diversi fronti.

Prima di tutto il lato tecnico: dovendo occuparmi di tutta la parte che sta oltre la scrittura e dietro la produzione di un libro, mi sono affidata a delle ottime professioniste. Ritengo che non si possa essere tuttologi ed è corretto che ognuno faccia al meglio quello per cui è preparato.

Poi anche la storia in sé, partita da una sfida giocosa nel trattare dei personaggi particolari e un genere diverso, almeno lo era per me, fino a ora, il rosa crime. Questo racconto lungo o romanzo breve, chiamatelo come volete, non avrebbe il mio segno di riconoscimento, però, se non proponessi, accennandoli con delicatezza, alcuni temi molto attuali.

Se tutto procederà senza intoppi, i primi di ottobre, Niente è come sembra sarà disponibile negli store online in e-book, mentre la versione cartacea arriverà a novembre.

Dal momento che fin dalla sua uscita ho ricevuto molte richieste di stampa per il racconto che ho dedicato al Maestro Mascagni, ho pensato d’inserirlo e di farne omaggio ai lettori. Oltre alla storia principale, dunque, troverete Eden Amaranto e Baci di Piombo, i miei due brevi racconti usciti fino adesso solo in antologie.

Sono un po’ agitata davanti a quest’avventura, così nuova per me, e spero che possa darmi soddisfazioni, visto il lavoro e l’investimento che ha richiesto. Naturalmente non posso svelare molto ma, come da tradizione, ci saranno tante succose anteprime, nelle prossime settimane, fino alla data di uscita.

Vi ho un po’ incuriosito?



Quando ci si affaccia al mondo editoriale nei modi tradizionali (che, fino a oggi, sono quelli che conosco), si presenta spesso una questione dibattuta: l’opportunità o meno di ambientare all’estero un romanzo da parte di un autore italiano, soprattutto esordiente.

È un dilemma che forse riguarda più la narrativa generalista, o mainstream, ma viene posto anche a chi si dedica alla scrittura di genere. Ci sono filoni che per loro natura ne sono meno toccati, come il fantasy, l’urban fantasy o la fantascienza, benché molti autori italiani abbiano ormai provato a sperimentare e nazionalizzare con discreto successo anche elfi e vampiri in terra italica.

Non credo sia un paletto che si presenta a chi ricorre all’autopubblicazione, campo di cui conosco poco. Deduco che non dovendo passare dal giudizio di chi è nel settore, ma solo da quello dei lettori, questa legge non scritta venga ignorata. Mi piacerebbe conoscere i pareri sulla questione da questo tipo di autori.

Quello che so è che almeno fino al 2012, anno di uscita del mio primo romanzo, questo fumoso ostacolo ha incrociato la mia strada verso la pubblicazione nelle varie valutazioni a cui lo stesso veniva sottoposto.

Da allora, in soli cinque anni, i cambiamenti con l’avvento dell’autopubblicazione sono stati molti, ma credo che nelle polverose menti di qualche editore questo concetto astratto rimanga ancora. E ogni tanto sorge qualche polemica a rinfocolarlo, e la fatidica domanda torna fuori:


gli autori italiani possono ambientare all’estero le loro storie? 


Oppure, come le case editrici e i corsi di scrittura insegnano, è preferibile scrivere di ciò che si conosce e ambientare nel nostro paese?

Ci sono alcuni aspetti, a mio avviso, da tenere in considerazione. Non conosco le percentuali esatte, ma se penso alle migliaia di libri che ogni anno vengono tradotti, in prevalenza dal mercato anglosassone, i lettori sono ormai talmente esterofili per cui ambientazioni e nomi italiani diventano comici paragonati a quelli di metropoli estere o di protagonisti di thriller, horror, spionaggio e gialli.

Occorre tanta fiducia e investimento da parte di un editore nel proporre mondi diversi in questi generi. Una dimostrazione è la gavetta che pure i giallisti scandinavi hanno dovuto fare nel nostro paese, sdoganati e amati solo dopo diversi anni dalle prime pubblicazioni in Italia, sebbene il settore del giallo tiri moltissimo e abbia grandi esempi italiani di successo.

Spiace dirlo, ma un certo tipo di lettore, dei già scarsi nel nostro paese, è pigro e abitudinario, non ama sperimentare e non accoglie con lo stesso gusto e considerazione, soprattutto nella narrativa di genere, nomi e luoghi italiani.

Non sono una storica né un’analista, non so se questa forte esterofilia sia dovuta al dominio di mercato, e relativa colonizzazione delle forti case editrici anglosassoni, o se noi ne soffriamo particolarmente rispetto ad altri paesi europei non anglofoni a causa della proibizione che ci è stata imposta durante il fascismo. E se ne comprendo la necessità e l’impennata del dopoguerra, non ne capisco il disequilibrio attuale. Non so dare una spiegazione da addetta ai lavori, ma mi pongo spesso questa domanda.

Dal punto di vista di un autore, e non solo, la storia deve essere valida, ovvio. Senza questo si va poco lontano. Partendo da queste basi c’è chi ambienta in Italia, storico o contemporaneo che sia, per scelta, per ricchezza del nostro passato o per i luoghi del nostro paese.

Per quanto mi riguarda, quando mi arriva l’idea di una storia da raccontare, non mi pongo troppo il problema perché spesso sopraggiunge il pacchetto completo di personaggi e luogo di ambientazione. Per adesso è accaduto così, sia per i due romanzi che ho pubblicato sia per i progetti a cui sto lavorando.

A volte ci sono storie che devono per forza avere quel tipo di ambientazione, anche straniera, poiché ispirate da un fatto, da un posto, da qualcosa che hai visto e ti ha colpito. Vivendo in una città di provincia, questo non è molto apprezzato. O la mia è particolare – e un po’ lo è credetemi – dato che con vero spirito campanilistico esalta molto chi ambienta i suoi scritti qui, per cui, se non parli dei luoghi comuni che ci caratterizzano, ma hai uno sguardo oltre il solito orizzonte, sei ignorato.

A ogni modo, anche con tutta la buona volontà, quando ho iniziato a scrivere Il senso interno del tempo, l’idea è arrivata per intero, comprensiva di ambientazione. Dopo le prime letture professionali a cui l’ho sottoposto, mi è stato suggerito da più fonti di rispettare la famosa legge non scritta, ho provato a cercare un’alternativa, ma chi si sarebbe mai filato un famoso attore italiano? E quale prototipo sarebbe venuto in mente a chi lo leggeva... non oso immaginarlo!

Sono arrivata perfino a ipotizzare un cambio di professione del protagonista, rockstar italiana, artista visivo, poiché alcune tematiche del lavoro artistico di Nathan e del suo rapporto con esso, dovevano rimanere ed erano importanti per definirne il personaggio. Niente mi convinceva, perché ambientare in Italia quel tipo di professione non sarebbe mai stato ai massimi livelli come negli USA.

Il compromesso che ho trovato è stato quello di riscrivere il personaggio di Eva, che in origine era americana, e italianizzarla, famiglia compresa, con tutte le difficoltà: riconoscimenti, lauree, permessi lavorativi di soggiorno e tutto ciò che comporta la vita di una persona che studia e lavora all’estero.

Non ho la certezza matematica che sia stato questo a renderne possibile la pubblicazione o se il romanzo avrebbe funzionato lo stesso lasciando tutto com’era prima, fatto sta che nei nuovi, ulteriori invii alle case editrici è stato accettato da un editore indipendente.

A corollario di tutto questo, vorrei con ironia far notare la coerenza di molte case editrici che, dopo l'uscita de Il senso interno del tempo, hanno pubblicato romanzi di autrici italiane ambientati all'estero e con protagonisti stranieri; i titoli sono molti - basta scorrere le classifiche di Amazon - dove, evidentemente, non si è ritenuto necessario modificarne l'ambientazione, andando a sfatare così questa legge non scritta.

Che cosa se ne deduce, quindi? È vero che, come ho già scritto, con l’autopubblicazione l'editoria è molto cambiata, ma credo di poter affermare, dopo aver frequentato un po’ questo settore, che vale tutto e il suo contrario e che la legge non scritta sull’ambientazione conti quanto il due di briscola rispetto al fattore C.


Quando presenti il tuo romanzo in libreria, una delle domande che non manca mai, che viene formulata dal pubblico o da chi anima l’incontro, è sapere da dove arriva l’ispirazione per una storia.

Come ho già spiegato nella pagina dedicata ai romanzi, il nucleo è scaturito da un racconto del 2006. Voleva essere una storia breve sui contrasti fra un mondo tutto apparenza com’è quello di Hollywood, e anche il nostro senza andare troppo lontano, e la cruda realtà di un reparto di oncologia pediatrica e di come, attraverso una forte esperienza di volontariato e l’empatia che ne scaturisce, il protagonista potesse cambiare e maturare.

Non sapevo ancora a quale dei personaggi dovesse toccare la parte del medico, ma avevo una certezza: i due si conoscevano già e avevano lavorato insieme nel cinema. Dato che le idee arrivavano e il racconto prendeva sempre più spazio, ho cominciato a frequentare i miei primi corsi di scrittura creativa e a leggere molti dei testi didattici in questo campo. Ne cito uno su tutti, la mia “bibbia”: Story di Robert McKee.

Eva e Nathan, allora, si sono plasmati in ogni dettaglio: dalla loro infanzia alla vita attuale. A quel punto, ho capito che mi sarebbe piaciuto parlare di altri conflitti, di sconfitte, di rinascite, di come ogni persona provi a dare un senso, da cui proviene il titolo di ogni volume, a ciò che vive. Poiché la vita è relazione, anche per loro sono arrivati gli amici e i familiari a creare problemi, a gioire, a soffrire e riflettere con loro.

I dettagli tecnici, i coprotagonisti, le sotto-storie e trame secondarie, lasciatele costruire a chi scrive, chi legge deve solo godersi il risultato, ma niente è lasciato al caso nei romanzi. Mi sono documentata tantissimo perché il mondo della Mandala Series è grande.

L’ambientazione: fra Stati Uniti e Italia si toccano almeno quattro posti differenti; il cinema statunitense con le sue severe regole di lavoro, molto diverse dalle nostre; il grande passato della cinematografia italiana; i nativi americani e le odierne condizioni di vita nelle riserve; il welfare e i servizi sociali negli USA.

Gli argomenti più complicati sono stati i due temi principali trattati nei romanzi. Il punto di vista medico, risolto per merito di giornate di ricerca e per la disponibilità di un’amica oncologa che ha controllato tutto ciò che scrivevo riguardo ai procedimenti di donazione e trapianto del midollo, alla raccolta delle cellule staminali del cordone ombelicale a fini terapeutici, a come si svolge nei reparti pediatrici il volontariato con la clownterapia.

Ci tengo a ricordare le varie associazioni che si occupano di queste tematiche: ADMI, ADISCO, VIP Italia Onlus. Parlare di questo è stato anche un modo, quando presentavo i libri, di far conoscere alle persone che si può donare qualcosa di noi anche quando siamo perfettamente in salute.

Ho speso molti anni a scrivere il romanzo, nei miei ritagli di tempo e senza alcuna velleità di pubblicazione. Erano ancora i tempi in cui avevo un’idea romantica del mondo editoriale, che si è trasformata dopo i primi dieci invii del manoscritto. Dalle bocciature e dai pareri ricevuti, né obbligati né scontati, ho compreso che c’era bisogno di alcune aggiustature per aderire meglio alle richieste del mercato.

La storia era troppo lunga, improponibile per un esordio. Ho dovuto capire come dividere il romanzo e costruire dei finali intermedi per creare dei volumi diversi.
L’ambientazione estera. Nelle prime stesure entrambi i protagonisti erano americani e mi è stato suggerito da fonti diverse di “italianizzarlo” il più possibile. Non volendo snaturare troppo quello che avevo scritto, ho optato per un compromesso.

Con queste modifiche e ulteriori invii, Il senso interno del tempo è stato pubblicato nel 2012 con una bella accoglienza e tante richieste di un seguito. Una parte del materiale era già pronta, ma non era sufficiente per completare la storia come meritava. Ho impiegato diversi mesi per decidere chi avrebbe aiutato Eva e Nathan a raccontare la conclusione del loro amore e ho scelto la strada più difficile. Il merito va a un biscotto della fortuna, in una cena particolare con gli amici di sempre, in una serata dove si mettevano in gioco molti destini artistici. Il biglietto è sempre sul pc, davanti ai miei occhi, e recita: hai l’occasione di scegliere liberamente, mettici il coraggio.

Pur sapendo di rischiare l’impopolarità perenne nel proporre un maschio assolutamente non alfa in un libro che sconfina spesso nel romance, ho scelto di scommettere su James, fratello minore di Nathan, reso paraplegico a seguito di un incidente d’auto. Conoscevo solo in superficie quel tipo di vita, così sono ricominciate le ricerche in rete ma oltre agli ottimi siti in inglese, pieni di dettagli tecnici, avevo bisogno di sentire queste persone, di entrare nella loro testa e nella loro vita, così ho giocato d’azzardo di nuovo e mi sono iscritta a un loro forum.

Midollospaccato.forumfree.it è stato creato da un volenteroso ragazzo ed è frequentato da persone, uomini e donne, con una vita simile a quella di James. Credo di aver riletto il mio post di presentazione almeno dieci volte prima di premere invio, perché quando si entra nelle vite complicate degli altri lo si può fare solo con molto rispetto. Sono stata accolta, ascoltata, aiutata, brontolata e presa in giro quando scrivevo parti che non riflettevano la vita vera delle persone paraplegiche, ma troppo romanzata, ottimista e filtrata attraverso le mie sensazioni, quelle di una normodotata. Sono stata consigliata in maniera delicata e piena di rispetto quando ho dovuto toccare tasti difficili come l’intimità e il sesso. Sono nate delle belle conoscenze epistolari e con alcuni di loro mi tengo ancora in contatto ed è a loro che è dedicato Il senso del nostro amore.

Nella sua più recente evoluzione, la serie è approdata sulle piattaforme on line, rivista, corretta e ampliata con capitoli inediti e, per le regole di mercato, si è arricchita di nuovi volumi. Potete farvene un'idea precisa nella pagina a lei dedicata su questo blog.
Garantisco che, sebbene tocchi questi temi impegnativi, la Mandala Series è soprattutto una storia d’amore, complicata e moderna, con le sue pagine piene di luce dove si sorride leggeri davanti alle avventure dei protagonisti e si tifa nelle loro scelte e indecisioni. Come dico sempre: un libro è un lungo, solitario, percorso che arricchisce chi lo compie. Per me, questi, lo sono stati in modo profondo e spero di averlo saputo trasmettere anche a chi mi legge. Crescita personale ed emozioni diverse: solo la magia delle storie non cambia mai.

Qualche settimana fa riflettevo su quanto, negli ultimi tempi, esista una grande carenza di contenuti in campo cinematografico e letterario; una tendenza che continua a crescere. Non posso affermare di aver esaminato l’intera produzione mondiale, ovvio.

Ci sono le eccezioni – e confermo che esistono perché le trovo, per fortuna – ma penso di aver collezionato un discreto curriculum come lettrice e un buon bagaglio cinematografico, spaziando tra diversi generi d’intrattenimento. Al cinema le ultime uscite a grande budget riguardano soltanto supereroi, remake o ennesimi episodi di saghe. Una grande mancanza d’idee nuove, tra l’altro.

Amo molti di questi film dove, purtroppo, il contenuto è ormai lo stesso: cattivi contro buoni, senza mai un rischio di analisi ulteriore. Si riflette di più davanti a una produzione animata, un tempo considerata minore, che a quelle con attori in carne e ossa. Insomma, qualche anno fa perfino nell’intrattenimento commerciale si trovava contenuto narrativo senza bisogno di andarsi a cercare i film indipendenti del cinema scandinavo, sottotitolati.

Nel campo dei libri la situazione non migliora molto, narrativa letteraria o di genere che sia. Ho letto romanzi molto rinomati di autori in odore di Nobel o visto film candidati a prestigiosi premi e, dopo aver chiuso il libro o letto la parola fine sullo schermo, ho pensato: “E allora? Caro autore, cosa hai voluto trasmettere?”. Ho assistito spesso a un bellissimo esercizio di stile, letto una serie di vicende interessanti, magari anche imparato da te, scrittore super bravo, nuove tecniche e ardite sperimentazioni di scrittura, ma mi spiace: la tua storia non mi ha comunicato nulla.

Forse, per la mia formazione e per la mia età anagrafica, sbaglio io a cercare un messaggio o una riflessione che passi attraverso l’opera? Qualcosa che spieghi la sua creazione e il desiderio di raccontarla, e che non si limiti al solo intrattenimento? Non chiedo di pianificare a tavolino per veicolare contenuti, solo verificare se un messaggio implicito passa attraverso la narrazione e arriva a chi ne usufruisce, poiché quello che viene prodotto è indirizzato a un pubblico.

Oppure non c’è più voglia o desiderio per chi scrive, di raccontare quel qualcosa in più? E non che la narrativa di genere ne sia esentata con la scusa che è commerciale e che non le è richiesto: ricordo bene i densi spunti di riflessione contenuti nei libri fantasy di decenni fa o quanto la fantascienza facesse discutere sugli scenari futuristici.

Non sto parlando neanche di gusto personale, se un libro possa essere gradito o no, perché alcuni mi sono anche piaciuti. Mi riferisco proprio a ciò che la storia vuole trasmettere: che poi il messaggio possa soddisfare o no chi usufruisce del prodotto è un passo ancora successivo.

Il problema è che, troppo spesso, il contenuto è proprio assente, non pervenuto, vuoto. 


Vogliamo poi parlare di alcuni grandi successi per adolescenti – e non solo – in cui, al contrario, il contenuto esiste ma veicola una prospettiva sbagliata? E non mi riferisco a una rigida morale, ma ai valori universali scritti nella Dichiarazione dei Diritti dell’ONU.

Mi chiedo se queste scelte siano frutto di una precisa valutazione delle case editrici e di produzione cinematografiche per accontentare un pubblico che chiede solo questo tipo di storie, fatte per non rimettere i propri investimenti e andare sul sicuro. Oppure, chi scrive riflette il tempo e il modo in cui vive, per cui se non ha una ricca formazione personale non riesce a portare contenuti nemmeno dentro le sue storie?

La mia è un’opinione, ovvio, del tutto contestabile. Non pretende di analizzare opera per opera, come non ho voluto, di proposito, inserire titoli o autori di riferimento, ma solo offrire uno spunto di riflessione.

Ci sono stati diversi cambiamenti nella mia vita da autrice, durante lo scorso anno. Alcuni indipendenti dalla mia volontà, altri voluti per arrivare a una maggiore conoscenza del mondo editoriale e di come si sta evolvendo. Diversi sono ancora in corso di definizione e speriamo che portino dei buoni risultati.

Una delle belle novità di cui vi parlavo qualche giorno fa sulla pagina Facebook è che, finalmente, è possibile acquistare la duologia direttamente dalla sottoscritta a un prezzo davvero vantaggioso, concorrenziale anche per Amazon (e comprensivo delle spese di spedizione tracciata, così non si perde).

Il primo romanzo, “Il senso interno del tempo”, è ormai introvabile sugli store online, mentre del secondo, “Il senso del nostro amore”, si iniziano a contare gli ultimi scatoloni. Al momento non sono previste ristampe con la casa editrice, quindi se siete interessati: fatevi avanti! Con 25 euro potete adottare entrambi!

Il senso interno del tempo 

Serie: #1
Casa editrice: Linee Infinite
Pagine: 586

Trama

La distanza di due continenti e i dieci anni trascorsi dal loro primo incontro avvenuto in Italia, non hanno scalfito il rapporto fra Nathan ed Eva, i quali tornano a frequentarsi per una serie di strane coincidenze. Hanno vissuto questo tempo immersi nelle rispettive carriere, impegnative quanto opposte, e vi si dedicano entrambi con passione e sacrificio. Può da queste basi nascere un amore improvviso e travolgente? Plastic Land, la terra del cinema, non è il terreno migliore dove far sbocciare sentimenti profondi e duraturi. Lo scientifico raziocinio e la cruda realtà di Eva cozzeranno spesso contro il complicato carattere e il mondo artificiale di Nathan. Può un sentimento così forte superare le realtà umane più difficili? Una storia calata nel nostro tempo: ironica, passionale, sofferta. Due protagonisti che danno vita a un amore profondo.


Il senso del nostro amore 

Serie: #2
Casa editrice: Linee Infinite
Pagine: 554

Trama

Ai fratelli Tyler la vita ha riservato grandi successi ma anche enormi dolori. Nathan, famoso attore di Hollywood dal carattere scontroso, all'apice della carriera ha detto addio a Eva, pediatra dolce e grintosa, unico amore della sua vita. Troppi sbagli, troppi malintesi, due mondi troppo distanti. James, reduce da un incidente stradale, cerca di tornare alla normalità e si trova ad affrontare un'inaspettata speranza: Judy. I due fratelli decidono di ritrovare le loro radici, ma il percorso è complesso e quando tutto sembra perduto, Nathan cade nella disperazione: non ci sono fama o soldi che valgano un vero affetto. Così torna a cercare Eva. Riuscirà a convincerla che il loro amore ha un senso che possono scoprire soltanto insieme? Dopo Il senso interno del tempo, il seguito della storia di Nathan ed Eva.
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